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Amo il caffè, sono quasi maniacale quando sono alla ricerca della “mia” miscela ideale, non riesco a ricordare quanto tempo ho trascorso su internet prima di acquistare la mia ultima macchina espresso e quanti caffè ho fatto prima di essere soddisfatto dell’acquisto e dell’accoppiata con la giusta miscela.
Da molti anni la mia giornata viene scandita dal consumo dei miei immancabili e fumanti caffè, ne consumo una decina almeno e quando (anni fa) ho saputo di dovere andare a Mugnano (vicino Napoli), per lavoro, ho subito pensato a quante tazzine avrei accostato alle labbra in quella settimana da trascorrere in un luogo che rappresenta storia e tradizione di uno dei simboli della nostra terra e che ha dedicato canzoni e pagine di teatro al caffè.
La patria del “caffè sospeso” (che prevedeva di pagarne due senza consumare il secondo, in modo che potesse berlo un avventore indigente), la terra in cui il caffè è motivo di vere e proprie “scuole di pensiero”, un vero e proprio “culto”.

Con quel pensiero sono salito in aereo ed atterrato a Napoli, naturalmente, la prima cosa che ho fatto, uscendo dall’aeroporto, è stato entrare in un bar e gustarmi una tazzina di ottimo caffè, bollente ed amaro (come piace a me), un buon inizio a cui sono seguiti altri bar, altre tazzine fumanti e tanto gusto…..

Ho conosciuto Lino, che per giorni si è prodigato ad inculcarmi qualche frase in dialetto napoletano e che “orgogliosamente” mi additava ai suoi amici, come se anche il mio “piacere per il caffè” fosse frutto dei suoi insegnamenti e tutto “filava liscio”, liscio come i caffè che abbiamo bevuto insieme finché…
Un giorno, quel giorno, in un angolo di quella periferia di Napoli in cui il vociare delle donne è il sottofondo musicale che non conosce sosta, Lino mi ha portato oltre la soglia di un piccolo negozio in cui tutto era bianco: le pareti del locale, gli indumenti dell’uomo affaccendato a servire i clienti e tutto ciò che si poteva acquistare era candidamente bianco, porcellanato.

L’odore un po’ pungente, il viavai continuo di persone che si affacciavano dal retro e portavano bocconcini, treccine e tante altre forme, tutte candide, che immancabilmente finivano a mollo, in vetrina.
Lino, rivolto a colui che scoprii fosse il proprietario, disse la frase con cui mi presentava a tutti i suoi amici: “Questo è un mio caro cugino di Milano, mi raccomando” e poi, guardandomi serio mi disse:”E mò ti faccio “provare” ‘na cosa cchiù buona rò ccafè”!!!
Fu così che mi ritrovai, alle 10 del mattino, in un negozietto immerso in un vicolo della periferia napoletana, con un piatto in mano ed una Mozzarella di Bufala appena mozzata per me, niente posate ed un’improvvisa voglia di affondarvi i denti ed appagare il desiderio di sentirne il gusto.

Un momento di silenzio (insolito per il luogo ma non per l’attesa di chi ci stava intorno che voleva sapere cosa ne pensassi), io che prendo il latticino, lo avvicino alle labbra e, senza pensarci un attimo, mordo voracemente la Mozzarella e … mi inondo letteralmente di latte che fuoriesce copioso nel momento in cui affondo i denti.

I miei occhi sono il libro aperto che narra il piacere dell’assaggio, l’incuranza per avere bagnato la maglietta è segno che sto gustando il boccone, il mio sorriso risponde alla domanda che Lino non formula (visto che la risposta è leggibile) e tutt’attorno riprende il brusio, cadenzato dall’inflessione napoletana che, da quel giorno, si arricchisce di nuovi sapori.

Un viaggio, quello, che mi fatto conoscere i contrasti di una città che li vive quotidianamente e che io ho “vissuto” nel gusto, una città ricca di colori ma anche di bianco e nero (nero il caffè, candida la Mozzarella) una città piena di suoni e sensazioni decise ed armoniose, la bollente tazzina che esalta gli aromi e l’elastica sfoglia esterna che racchiude un cuore lattiginoso, una città che mi ha fatto scoprire quanto, anche di mattina alle 10, una vera Mozzarella di Bufala possa dare gusto alla giornata…

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