Sei in > formaggio.it > Formaggi GRASSI > Storia dei formaggi dal Medioevo al Settecento

Prosegue il viaggio che è stato cominciato qualche tempo fa alla scoperta dell’ origine, evoluzione e diffusione dei formaggi e alla loro importanza per il tessuto sociale ma anche culturale, economico e artistico italiano.

La cultura medievale nutriva, nei confronti del formaggio, forti perplessità dovute all’inspiegabilità dei meccanismi di coagulazione e fermentazione; questo sospetto non era prerogativa esclusiva del popolo, ma coinvolgeva anche la scienza medica. Ho già avuto modo di parlare di ciò attraverso precedenti articoli ma credo sia utile ricordarlo per inquadrare meglio il panorama storico in questione. Nell’insieme delle perplessità nutrite dalla scienza e dal popolo,era il formaggio stagionato, nello specifico, ad avere una valutazione fortemente negativa sia sotto l’aspetto nutrizionale che dal punto di vista dietetico. Bartolomeo Sacchi, detto Platina, in “De honesta voluptate et valetudine” afferma che: “è pesante da digerire, nutre mediocramente, non fa bene allo stomaco e all’intestino, genera bile, fa venire la gotta, dolore ai reni, renella e calcoli”.

Dal punto di vista sociale durante il Medioevo era consolidata la convinzione, derivante dal mondo antico, che i formaggi fossero un alimento per poveri.Era assai radicata infatti l’immagine primitiva dei popoli che consumavano tale alimento come privi di civiltà; ovviamente questa credenza assunse una connotazione fortemente negativa se la pensiamo come una delle caratteristiche fondamentali delle popolazioni delle steppe definite “barbare”. Il motivo per il quale a queste comunità venisse posta la condizione esposta sopra come elemento intrinseco della loro natura nonostante esse producessero formaggi, si realizza nella credenza che tale prodotto inevitabilmente associato al latte, materia prima indispensabile per generarlo, fosse quindi assimilabile agli albori della civiltà.

Durante il Medioevo, il nostro protagonista fu alimento tipico dei poveri, dei contadini, dei pellegrini e dei frequentatori delle osterie; si potrebbe quasi affermare che il formaggio era la carne dei ceti bassi. La tesi appena esposta non vuole sostenere che non fosse presente sulle mense degli aristocratici, chiaramente però vi erano opportune modalità di differenziazione nel consumo e nell’utilizzo. Questo “Modus Pensandi” tipico dell’inizio dell’età medievale andò gradualmente modificandosi grazie sopratutto al modello alimentare monastico: l’influenza che esso esercitò sui consumi della società fu lenta ma inesorabile. Ciò fu reso possibile grazie alla rinuncia totale o parziale del consumo di carne in funzione delle regole dei vari ordini; è chiaro quindi come il formaggio potesse esserne un valido sostituto e quindi una fonte proteica.

Questo regime alimentare si estese ben presto grazie all’introduzione di regole che aumentarono i giorni “di magro” durante l’anno e quindi la necessità di sostituire gli alimenti carnei. E’ chiaro che rimase comunque la sua connotazione popolare ma esso divenne oggetto di maggior interesse e attenzione.
Il formaggio però veniva anche utilizzato in cucina, come testimoniano molti scritti. Il suo impiego si diversificava in funzione del fatto che fosse fresco o stagionato: nel primo caso pestato e mescolato ad altri ingredienti (come uova ed erbe) per formare pasticci e torte; nel secondo caso veniva grattuggiato e oltre all’impiego nelle preparazioni assieme a quello fresco era utilizzato in molte altre ricette.

Il suo processo di nobilitazione proseguì fino al Rinascimento e al XVII secolo ma si dovette aspettare il Settecento per vedere il nostro protagonista veramente apprezzato. Questo fenomeno si realizzò grazie all’ imperante moda arcadica delle pastorellerie: opere letterarie di genere pastorale perlopiù affrettate e artificiose in cui i cibi genuini come il latte e i formaggi vengono esaltati.
Nell’arte il formaggio oltre ai significati connessi alla simbologia religiosa è presente nei quadri come un simbolo dell’ambiente rustico e contadino.
Ritornando al Settecento, la rivoluzione industriale che caratterizzò il nord Europa produsse importanti e inevitabili modifiche anche alle modalità di produzione casearie che si ampliarono per coprire le accresciute esigenze.
Iniziò inoltre a essere marcata la contrapposizione tra la produzione contadina, esigua nel numero e volta unicamente alla sussistenza dei nuclei famigliari rurali con le nuove esigenze cittadine, nate a seguito del progresso industriale. Proprio quest’ultimo caratterizzò in modo graduale la produzione caseraria dei secoli successivi.

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